Queste le parole del giudice nella motivazione della sentenza:
“In altre parole, secondo la lettura delle fonti normative (la legge n6 del 1989 sulle guide alpine, ndr), non può che concludersi che per l’insegnamento dell’arrampicata sportiva è necessaria la qualifica di Guida Alpina e l’iscrizione al relativo albo nazionale”
“Peraltro, è di tutta evidenza che le fonti normative, sopra esaminate, non comportano alcuna preclusione all’attività di promozione e di diffusione dell’arrampicata sportiva. Attività che, come per tutte le discipline sportive, è senz’altro riconosciuta dall’ordinamento quale importante momento di aggregazione e di espressione sociale. Tuttavia, per l’aspetto didattico (l’addove esercitato in ambiente naturale), gli imputati avrebbero semplicemente dovuto munirsi della qualifica di guida alpina, e prima ancora, della formazione ad essa connessa. Percorso che, invece, hanno fermamente ritenuto di non voler intraprendere. Ritiene pertanto questo giudice che gli elementi sopra esposti convincano della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato in esame. Deve pertanto essere dichiarata la penale responsabilità di entrambi gli imputati in ordine al reato loro qui contestato.”
Quindi la sentenza va a sfatare con evidenza due luoghi comuni molto sentiti nell’ambiente della scalata:
1. Non è vero che basta creare una associazione non a fine di lucro per poter accompagnare le persone in falesia anche se non si è Guida Alpina. Il problema non è il lucro, ma proprio l’insegnamento ad essere vietato.
2 Non è vero che sia consentito agli istruttori FASI di insegnare l’arrampicata sportiva, ancorchè si limitino al terreno di “falesia”- su monotiri e vie attrezzate.
Quello che rileva il giudice è che l’insegnamento della arrampicata sportiva, secondo la legge del 1989, è riservato alle guide alpine o al CAI ( il cai però può operare solo nell’ambito di un corso, senza fini di lucro e gli istruttori del cai non possono in alcun modo operare in autonomia come dei professionisti)
Altrimenti può scattare una condanna penale per esercizio abusivo della professione. Dunque la galera.
Per fare un esempio gossolano, un medico, anche se opera gratuitamente, deve essere iscritto all’albo e avere la laurea in medicina.
Quindi l’escamotage utilizzato dalla maggior parte delle associazioni, di non far risultare un lucro e di tesserare tutti i partecipanti, non elimina il rischio di finire in galera.
Gli istruttori UISP, gli istruttori FASI, gli istruttori CUS o di qualunque associazione, sono tutti fuorilegge qualora operino in ambiente naturale, anche su monotiri con avvicinamento non alpinistico. Anche se fanno didattica " in amicizia"
Come scrive Gennari Daneri sulla rivista Pareti:
“Allo stato attuale dei fatti chiunque porti un amico in falesia, anche senza farsi pagare, e si azzardi ad insegnargli come si fa un otto e come si usa un grigri… è potenzialmente denunciabile ed accusabile di esercizio abusivo della professione…..
Bisogna trasformare questa contingenza bruttissima, che vede arrampicatori contro arrampicatori, questa rottura di un brutto giocattolo, nella migliore occasione per ridiscutere tutto, per creare un giocattolo bello, che funzioni e che soprattutto sia in grado di dare una risposta accessibile, pronta e professionale alla domanda crescente di arrampicata del nostro paese…..
E perché accada bisogna che FASI e Guide Alpine riprovino a mettersi insieme attorno ad un tavolo per creare una figura professionale specializzata sull’arrampicata sportiva su roccia.
Occorre che le Guide Alpine comprendano che è ora di riformare il loro organico, almeno di decuplicarlo, separando le competenze.”
Quindi, in sintesi, se state facendo un corso di arrampicata, con uscite su pareti naturali, che non sia organizzato da una sezione del CAI o da una guida alpina, sappiate che state salendo su un taxi guidato da un abusivo, che vi state facendo togliere un dente da un dentista senza laurea e che, per questo motivo, l’assicurazione potrebbe fare storie in caso di incidente ( si può assicurare chi opera fuori dalla legge? forse si, visto che è un contratto privato, forse no, non lo so).
Io, da guida alpina, vi posso dire che tutto questo non è giusto, che c’è un grosso vuoto legislativo.
E’ assurdo che per poter allenare regolarmente dei ragazzi in falesia, un bravo allenatore, sia costretto a imparare a sciare ed andare su ghiaccio e sulle montagne.
E’ assurdo che a Roma, dove ci sono più di 10.000 scalatori, soltanto due o tre persone ( forse meno?) siano abilitate all’insegnamento e all’accompagnamento professionale in falesia.
E’ peraltro giusto che gli istruttori Fasi siano fuorilegge: si diventa istruttori senza esame ( è l’associazione che presenta il candidato e decide che è idoneo) e con soli 5 o 6 giorni di formazione si diventa istruttori.
La soluzione è semplice: istituire la figura del “Maestro di arrampicata”, con una formazione seria e un difficile test di ingresso (figura peraltro già presente in molti stati come la Francia e la Svizzera) che possa operare in maniera professionale su un terreno sportivo di falesia.
E’ ridicolo che le guide alpine cerchino ancora di mantenere dei privilegi su un terreno, quello della scalata sportiva, che ormai non sono più in grado di gestire, né come numeri ( troppe poche guide in rapporto alla richiesta) né come competenze.
Alessandro Jolly Lamberti
Guida Alpina
Paolo Condemi
sono d'accordo. è ora di fare qualcosa tutti insieme per risolvere questa situazione assurda. c'è solo una piccola imperfezione nell'articolo di jolly: e cioè che la sentenza non ha tenuto conto della legge nazionale ma solo di quella regionale che sopprimeva il famigerato comma 4 dell'articolo 20...
Dall’articolo “ANALISI DI UNA SENTENZA” de Lo Scarpone n. 6 del Giugno 2005, scritto dall’avvocato Vincenzo Torti:
«L’art. 20 della legge 6/89, in quanto norma di livello identico a quella espressa dall’art. 2 della stessa legge, al quale il Tribunale di Milano si richiama a sostegno della propria motivazione che riserva alle guide alpine “lo svolgimento a titolo professionale delle attività di cui al comma 1”, rappresenta proprio quella eccezione di pari rango che la sentenza omette di considerare e che consente di affermare che vi sono attività in montagna legittimamente svolte da soggetti che non sono guide alpine, vale a dire gli istruttori del CAI (comma 2) e altri ancora, non meglio individuati (comma 4), ai quali, quindi, non si può contestare, per il solo fatto di svolgerle, l’esercizio abusivo della professione di guida alpina.»
ARTICOLO 20:
«(Scuole e istruttori del CAI) – 1. Il Club Alpino Italiano, ai sensi delle lettere d) ed e) dell’art. 2 della L. 26 gennaio 1963, n. 91, come sostituito dall’art. 2 della L. 24 dicembre 1985, n. 776, conserva la facoltà di organizzare scuole e corsi di addestramento a carattere non professionale per le attività alpinistiche, sci-alpinistiche, escursionistiche, speleologiche, naturalistiche e per la formazione dei relativi istruttori. 2. Gli istruttori del CAI svolgono la loro opera a carattere non professionale e non possono ricevere retribuzioni. 3. Le attività degli istruttori e delle scuole del CAI sono disciplinate dai regolamenti del Club Alpino Italiano. 4. Al di fuori di quanto previsto dalla presente legge, le ALTRE attività didattiche per le finalità di cui al comma 1 non possono essere denominate “scuole di alpinismo” o di “sci-alpinismo” e I RELATIVI ISTRUTTORI non possono ricevere compensi a nessun titolo. »